E’ mercoledì pomeriggio (30 Luglio) e sotto la pioggerellina fredda e fine di Londra cominciamo a sentire i morsi della fame. Effettivamente è dalla mattina presto che non mangiamo.
Ci dirigiamo verso la fermata del metrò, compriamo i biglietti e scendiamo a Oxford Circus. Ci guardiamo intorno alla ricerca di un locale dove poter mangiare qualcosa spendendo poco.
Sandwich, panini, pizze...costa tutto così tanto e non sembra nemmeno così allettante…Decidiamo per un pezzo di pizza al taglio con patate.
“Vai, ordina tu”
“Ok” non discuto nemmeno. “Mi scusi potremmo avere due pezzi di pizza con le patate?”
“Non abbiamo pizza con le patate” risponde freddo il pizzaiolo senza nemmeno alzare lo sguardo.
“Cosa ha detto? Cosa ha detto?” Elena chiede insistentemente.
La guardo, in silenzio, gli occhi leggermente strabuzzati e la bocca chiusa in una espressione dubbiosa.
“Ma… a dir la verità mi sembra di aver capito che non ha la pizza con le patate…” rispondo
“Ma figurati! Scusa e quella cos’è?? Ci vuole prendere in giro? Non vuole servirci perché ha capito che siamo straniere?” Elena è abbastaza alterata. “Richiediglielo!”
Mi rigiro verso il pizzaiolo cercando di attirare la sua attenzione.
“Mi scusi?.... Mi scusi?”
“Mmmm”
“Mi scusi??!!” insisto perché vorrei i suoi occhi nei miei, magari riesco a capire il perché non vuole servirci.
Finalmente e, aggiungo, molto stancamente, mi guarda.
“Yes??!!”
Soddisfatta proseguo “Vorrei quei due pezzi di pizza con le patate”
“Ho già detto che non abbiamo pizza con le patate!” risponde in modo sgarbato mentre cerca di ritornare al suo lavoro. Ma questa volta non gli lascio tregua e continuo:
“E allora quella che cos’è? Perché non ci vuole servire?” ho anche incrociato le braccia in segno di sfida. Voglio proprio vedere se adesso ha il coraggio di rispondere!
“Quella, cara turista, è pizza con ananas! Non sono patate! Come ho già detto, non abbiamo pizza con le patate!” i suoi occhi rimangono incollati ai miei, il suo sguardo si trasforma da stanco a disturbato. Il mio invece passa dalla sfida alla vergogna in pochi nanosecondi.
“E’ ananas….” Riferisco a Elena senza guardarla. Pur sentendomi in palese inferiorità, cerco comunque di sostenere lo sguardo del ragazzo.
“Ananas??!! Ma figurati!! Ma scherzi?? Ananas? Sulla pizza? Sei seria? Hanno messo l’ananas sulla pizza??...”
“Shhh stai calma, altrimenti non ci serve nemmeno quella!”
“Mi rifiuto di mangiare la pizza all’ananas!”
Ha ragione…No no no, lasciamo perdere! La nostra radice profondamente italiana ci impedisce di prendere in considerazione una pizza all'ananas.
Prendiamo un panino pomodoro e mozzarella (che di mozzarella sa ben poco), senza farci troppe domande. E senza fare a lui troppe domande, altrimenti ci fa scortare fuori da qualche poliziotto di passaggio!
Dobbiamo stare attente ai soldi perché li abbiamo contati. O meglio: mia mamma me li ha dati contati! Ha fatto qualche ricerca, e ha calcolato esattamente quanto costavano vitto, alloggio, scuola e poco altro. E ha comunicato la stessa cifra ai genitori di Elena.
Così ci ritroviamo con gli stessi soldi (pochi), che per ora sono sotto forma di traveller cheques . Quindi dobbiamo trovare una banca o un ufficio di cambio per scambiarli.
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sabato 2 marzo 2013
Londra Il Grottesco è di casa - Diario di un viaggio tragicomico - 11
Che sollievo! Dopo la doccia siamo rinate! Di umore
più che sollevato facciamo di corsa le scale per cominciare la nostra
esplorazione in giro per la città. La nostra invisibilità tra i ragazzi
dell’ostello è impressionante, tuttavia decidiamo di non dare molta importanza
alla cosa.
Appena arriviamo alla porta di uscita abbiamo la
prima lezione di vita sul cambiamento repentino del meteo in Inghilterra. Sta
diluviando.
“Nooooo! E adesso?” il tono di voce di Elena è quasi
buffo. La guardo un momento mentre, con le braccia a penzoloni e le spalle
curvate in avanti, ha la classica postura di una bambina delusa davanti al Luna
Park chiuso.
“Eh, adesso, niente. Torniamo in camera, sostituiamo
i pantaloncini corti con i jeans, la canotierina con la maglietta a maniche
lunghe e ripartiamo!”.
Torniamo in camera a prendere il K-Way sperando che
la pioggia si attenui. Ma non ne vuole sapere.
“Se usciamo adesso, il K-Way non basta. Nel giro di
due minuti siamo bagnate spolte.”
“Sembra il diluvio universale! Guarda la strada!”.
Rigagnoli di acqua corrono velocissimi lungo la
collina dove ci troviamo. A dir la verità i rigagnoli si stanno trasformando in
qualcosa di più serio…
“E’ inutile” dico “stare attaccate alla finestra
sperando che smetta.”
Decidiamo quindi intanto di perlustrare l’interno
dell’Ostello per capire dove si trova l’area colazione e la cucina in cui gli
ospiti possono preparare qualche pasto veloce.
Intanto, dal telefono pubblico all'interno
dell'Ostello (non andavano ancora di moda i cellulari), chiamiamo anche i
nostri genitori per informarli che siamo arrivate e ci siamo sistemate.
Purtroppo mia mamma non sta meglio e questo mi
demoralizza molto. Lei cerca di consolarmi e di rassicurarmi, ma il pensiero mi
tormenta continuamente. Sentire la sua voce mi ha sollevato da un verso e
abbattuto dall’altro.
Mentre ascolto la telefonata di Elena con sua madre,
noto l’infinità di dettagli che si riescono a dire. Impressionante. C’è sempre
stata questa differenza tra me e lei. Le mie telefonate con i miei durano 1 o 2
minuti al massimo. Le sue, almeno 10 minuti.
Esaurite le chiacchiere con i rispettivi genitori, ci
sediamo sui divanetti dell’ingresso ad aspettare. Siamo quasi ipnotizzate dal
rumore sordo e continuo della pioggia che batte sulle finestre e sul tetto. La stanchezza
prende quasi il sopravvento. Mi impongo di non addormentarmi. Passano
lentamente alcune decine di minuti e da una finestra intravediamo che la
pioggia si è calmata e finalmente possiamo uscire.
Continuiamo a notare che questo posto è pieno di bei
ragazzi! E continuiamo a pensare: “Peccato che nessuno si accorga di noi!”. Ed essendo
troppo timide per avvicinarli, sospirando usciamo.
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Londra Il Grottesco è di casa - Diario di un viaggio tragicomico - 10
Arrivate alla reception ci annunciamo e confermiamo
alla ragazza che abbiamo una prenotazione a mio nome per due notti.
La ragazza controlla il registro, poi ci guarda
negli occhi: lei leggermente perplessa, noi apatiche. Di nuovo abbassa lo sguardo e verifica le informazioni sul registro. Infine
punta su di noi i suoi occhi dispiaciuti. Dispiacere che leggiamo anche nell’espressione
della sua bocca un po' arricciata e con gli angoli abbassati.
Oddio… non voglio crederci! No, non dirmi che non
siamo sulla sua lista! Non dirmi che ho fatto tutta questa strada per niente e
che adesso mi tocca scendere di nuovo questa scala, questa collina e la scala del
metrò per cercare un altro ostello! Non dirmi che ho una vescica grande come il
palmo della mia mano per niente! Non dirmi nemmeno che sto sudando acido da ore
e non ho nemmeno la possibilità di lavarmi! Non dirmelo e basta!
Non so se è stato per merito del nostro sguardo da
prede in gabbia, o se per la sua buona volontà, ma riabbassa lo sguardo senza
dire niente.
Quando alza la testa per la seconda volta, ha un
lievissimo e quasi impercettibile sorriso sul viso. O è solo la nostra
speranza? No, dai, è un sorriso. Deve esserlo!
Voglio crederci! Mi sento già meglio.
Ci comunica che probabilmente per un errore di
trascrizione, i nostri nomi sono prenotati per due notti, ma solo a partire dal
giorno dopo. Continua dicendo che se ci possiamo adattare, potrebbe trovare due
letti disponibili per stasera in un’altra camera. L’indomani ci saremmo dovute
trasferire nell’altra stanza.
Ancora prima di consultarci, con un semplice sguardo
avevamo entrambe deciso che questa soluzione andava benissimo. Certo un po’ scomodo
passare le prime tre notti dovendoci trasferire ogni mattina. Ma sempre meglio
che cercare un altro Ostello con la valigia alla mano!
Ci sistemiamo in camera (dopo l’ennesima rampa di
scale ovviamente), e cerchiamo il numero del nostro letto e dell’armadietto per
infilarci la valigia. Per me è la prima volta in un Ostello, ma Elena è
un’esperta avendo fatto l’interrail in giro per l’Europa. Infatti al check in
ci è stato consegnato il documento con il numero del letto a noi assegnato.
Ogni letto ha un suo armadietto con la possibilità di essere chiuso con un
lucchetto, che però ti devi portare da casa. E, almeno in questo caso, ci
sentiamo molto previdenti: ta-daan! Con un sorriso saccente mostriamo i nostri
lucchetti a un invisibile compagno di stanza. Mi rendo subito conto che la
camera è, infatti, deserta, quindi mi sento anche discretamente stupida a
sventolare il pezzetto di metallo come se fosse un trofeo. Con un certo
imbarazzo e uno schiarimento di voce, quindi, chiudo la mano sul freddo
metallo, quasi a volerlo nascondere.
Apriamo la valigia e selezioniamo un cambio completo
di vestiti e tutto l’occorrente per una doccia.
Chiudiamo il lucchetto per tenere al sicuro le
nostre cose e cerchiamo il bagno per rinfrescarci. Fuori dalla nostra camera il
viavai di persone è continuo. Sembra che la nostra sia l’unica camera a 6 posti
letto occupata da sole due persone. Tutte le altre stanze hanno i letti
occupati da vestiti e/o ragazzi e ragazze. Sembrano tutti amici: porte aperte,
gente che entra ed esce da ogni camera, tante risate e tante chiacchiere.
Camminando lentamente e con un sorriso ebete
stampato in faccia, guardiamo i ragazzi e partecipiamo passivamente ai loro
dialoghi scherzosi, come se ci sentissimo parte del gruppo.
“Ma qui sono tutti amici!” Elena mi batte con il
gomito sul fianco.
“Sembra di sì!” concordo.
“Ti dico subito che in un Ostello i ragazzi non
restano più di qualche giorno perché poi riprendono il viaggio. Quindi, la mia
conclusione è che qui ci si conosce e si prende confidenza subito. E se è così
per loro, è così anche per noi! Vedrai che entro sera abbiamo già fatto
amicizia e ceniamo con loro!” Elena è sicurissima e sottolinea il tutto con un
cenno del capo.
Io continuo a guardarmi intorno cercando lo sguardo
di qualche ragazzo o ragazza in modo da tentare un primo approccio. Ma, per
ora, sembriamo invisibili. Nessuno ci degna della minima attenzione, anzi,
molti attraversano il corridoio tagliandoci la strada o quasi scontrandosi con
noi, come se non stessimo nemmeno passando.
“Va beh, siamo in condizioni pietose…Facciamo una
doccia e dopo saremo presentabili e soprattutto profumate. Speriamo di non
esserci giocate la prima impressione!”.
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Londra Il Grottesco è di casa - Diario di un viaggio tragicomico - 9
E infatti, arrivate davanti alla scala mobile che sale immobile per decine di metri, leggiamo il cartello “Out of order[1]”.
Accidenti, per non dire altro, questa non ci voleva
proprio.
Ci guardiamo negli occhi un po’ demoralizzate e,
rassegnate, cominciamo a salire i gradini trasportando la valigia che sembra
già diventata più pesante. Tiriamo quella maniglia con tutta la forza che
abbiamo e lo sforzo ci colorisce il viso di rosso. Lo zaino pesa sulle spalle e
comincio già a sentire i tendini indolenziti.
Lo so che non devo guardare, ma sono sfinita e mi
sfugge un’occhiata in alto… Ma quanti gradini sono?!? Arrivano fino in cielo??
Sudate e sfinite finalmente vediamo la luce
dell’uscita, e arrivate in cima ci attende un bellissimo e caldo sole estivo
accompagnato da una gradevole brezza.
La mia organizzatissima compagna di viaggio sfila
dallo zaino il libro degli ostelli e Hotel del Regno Unito, e cerchiamo il nome
del nostro sulla cartina allegata.
Ovviamente è il più sperduto! Se costa poco c’è
sempre un motivo. E’ il più lontano dalla fermata della metropolitana.
Beh ormai siamo già sudate, quindi ci mettiamo di
buona lena a tirare le nostre valigie per le vie di Whitechapel.
Il quartiere è davvero squallido, pieno di vicoli
stretti e bui, lungo i quali sono ben visibili soltanto i rifiuti. Il colore
che prevale negli edifici è il grigio. Le strade sono sporche e piene di
gruppetti di ragazzi che guardano con insistenza le
ragazze che passano. Sembra che non abbiano altro da fare. Ci sono pochissimi
alberi e nessuna aiuola fiorita. Le mattonelle dei marciapiedi e delle
piazzette sono lasciate in condizioni precarie: alcune mancano, alcune
dondolano al passaggio e altre sono state tolte e appoggiate disordinatamente
forse da qualche vandalo. Guardiamo attentamente dove mettiamo i piedi…ci manca
solo una caviglia storta per aver messo il piede in una buca o su una
mattonella traballante!
Alcune insegne penzolano su un unico
cardine che ancora resiste alla forza di gravità e altre, pur essendo
saldamente ancorate al muro, sono talmente datate che il nome del locale si
legge a stento dopo un’attenta osservazione..
Oltrepassiamo una specie di mercato
all'aperto con alcuni banchi di alimentari e altri di indumenti. Guardando la
frutta e la verdura esposta ci chiediamo chi possa azzardarsi a comperarla dato
che la freschezza è solo un vago ricordo. Per non parlare delle spezie
(riconosco mazzetti di prezzemolo e rosmarino) sdraiate per terra tra mozziconi
di sigaretta e acqua piovana stagnante, a causa della mancanza di spazio sul
banco.
La sensazione è di decadenza e abbandono. L’odore di
rifiuti è persistente e penetra acre nelle narici. Stiamo attente a non toccare
nulla e a camminare driblando le pozzanghere di acqua e altri indescrivibili
liquindi marcescenti.
Sempre per non farci mancare niente, l’Ostello si
trova pure in cima a una collinetta. A dire la verità non è proprio una
collinetta. E’ piuttosto un piccolo dislivello…ma comunque in salita! E a
questo punto della camminata, con una valigia pesante alla mano e uno zaino che
ora sembra insostenibile, anche un piccolo dislivello appare come un’altissima
moltagna!
Il sole del primo pomeriggio è limpido come non mai
nel cielo di Londra.
“Solo che non ci venga un'insolazione!” dico con un
filo di voce a Elena.
“No, dai. L'insolazione no!” ride lei.
“Mi sembra di avere un uomo di 100 kg aggrappato
alle spalle!”
“Io non mi sento più le mani….”
Siamo sudate e stanchissime quando arriviamo ai
piedi della piccola collina. Manca poco ormai, circa 200 mt, quando mi arriva
chiaro e deciso un forte segnale di dolore dalla mano che tira la valigia.
Ma perché non ho pensato di mettere un fazzolettino
tra la mano e la maniglia?? Forse avrei evitato questa enorme …vescica!
Mentre mi riposo un minuto e controllo indispettita
la mia mano, noto che anche Elena si sta massaggiando le mani. Alza il suo
palmo aperto e capisco che la
maledizione della vescica ha colpito anche lei, purtroppo.
Mi guarda con un’aria rassegnata scuotendo la testa
mentre a mia volta le mostro la mia grossa e rossa vescica.
“Anche tu?” le chiedo.
“Certo! Non vedo l’ora di arrivare, appoggiare la
valigia e fare una doccia! Dopo, Londra, mi sembrerà sicuramente un posto
migliore!” mi dice lei con una inflessione di rabbia e fastidio nella voce.
Gli ultimi metri prima di arrivare sono davvero
duri. Non ne possiamo più.
Ma appena arriviamo davanti all’Ostello ci attende
un'altra brutta sorpresa: la reception è al primo piano e ovviamente non ci
sono né scale mobili, né ascensore.
Controlliamo se è possibile lasciare la valigia al
piano terra per poi prenderla dopo il check in, ma il via vai di ragazzi ci fa
presto cambiare idea. Ci manca solo che ci rubino la valigia il primo giorno!
Non possiamo neppure dividerci e lasciare che una
sola di noi faccia check in, perché la receptionist vorrà sicuramente vederci
entrambe per confrontare le foto sui documenti e farci firmare i moduli di
accettazione.
Quindi, dopo alcune silenziose imprecazioni e
profondi respiri, ci facciamo coraggio e saliamo con molta fatica e molto
lentamente la rampa di scale per il primo piano.
Ormai non so più come tenere la valigia. Provo a
tirarla usando solo i polpastrelli, perché l’incavo di entrambe le mani mi fa
un male terribile. Ma la pesantezza della valigia mi fa quasi lasciare la
presa.
Con uno scatto di forza improvvisa, subito prima che
mi scivoli, afferro di nuovo la maniglia. Il cuore mi batte fortissimo perché
ho già visto la scena nella mia mente: la valigia che scivola e si scaraventa
su Elena che, inconsapevole, sta salendo le scale dopo di me. Meno male che
sono riuscita ad evitare il disastro; cerco di ricompormi senza svelare i miei
pensieri. Ma appena l’adrenalina passa, il dolore alla mano mi arriva al
cervello con una forza incredibile.
“Cominciamo bene!”. Ma non l’avevo già detto in
aereo? Speriamo che la sfortuna concluda qui le sue angherie!
E, di nuovo mi ritrovo a dire: purtroppo era solo
l’inizio…
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Londra Il Grottesco è di casa - Diario di un viaggio tragicomico - 8
4.
Prima sistemazione
Come già anticipato, il viaggio Bologna –
Gatwick dura 8 ore, compreso lo scalo di
6 ore in Belgio!
Ma due ragazze giovani ed eccitate per la vacanza,
mascherata da “studio”, non si lasciano certo demoralizzare da una innocua
attesa di 6 ore!
Sì, ovviamente un volo diretto sarebbe stato molto
molto meglio. Infatti siamo impazienti di arrivare e cominciare subito a
guardarci intorno. Sentiamo di sprecare tempo prezioso mentre camminiamo avanti
e indietro per l’aeroporto belga.
Tuttavia mi
ripeto che avremo tutto il tempo per goderci Londra, la gente, i ragazzi, i
negozi, Piccadilly Circus e Soho,
Portobello e il London Bridge, per poi concludere degnamente con la nostra vera
vacanza in Scozia… Non sto più nella pelle!
Facciamo qualche foto cercando di sembrare (come
penso abbiano fatto tutte) più “gnocche”
di quello che siamo in realtà, entriamo nei negozi e curiosiamo in giro,
chiacchieriamo e commentiamo ogni persona o coppia che passa, chiedendoci se
saranno sul volo con noi, o se hanno un fidanzato o fidanzata a aspettarli, o
se sono amanti, magari partiti di nascosto per un week end in una capitale
europea…
Ed ecco che finalmente annunciano il nostro volo.
Questa volta ci precipitiamo al cancello e siamo le prime a consegnare le carte
di imbarco alle assistenti di terra.
Dopo un altro breve volo in compagnia delle nostre
bottigliette d’acqua e biscotti, intravediamo la costa inglese!
Atterraggio e ... Londra!!
Ci dirigiamo verso la metropolitana per poter
raggiungere il centro della città. Salire e scendere scale e vagoni del metrò
con la valigia rigida e lo zaino sulle spalle, non è una cosa affatto semplice!
Controlliamo la tratta migliore per arrivare al
quartiere di Whitechapel, dove è situato l’ostello che ci ospiterà per due
notti.
Questo dettaglio fa parte del piano risparmiatore di
mia mamma, la quale aveva sapientemente calcolato che costava meno farci
dormire in un Ostello aspettando che il residence si liberasse, piuttosto che
prendere un volo di linea (quindi non low cost) che partiva due giorni dopo.
Ma noi eravamo ben contente di avere due giorni
extra da passare in una città straniera, piena di vita e gente da conoscere!
Quindi non ci siamo mimimamente sognate di contraddirla!
Inoltre Elena, avendo già fatto un viaggio in Europa
in inter-rail, mi aveva parlato benissimo degli Ostelli del nord, dove si
conoscono tanti giovani, ci si scambiano gli indirizzi e, con molta facilità,
si diventa “amici”.
Avremmo impiegato questi due giorni per ambientarci
e per scegliere la scuola d’inglese e l’orario migliore per la frequenza. Poi
con calma ci saremmo trasferite nel residence a Kensington (a Kensington! Ma vi
rendete conto???) prenotato da un amico inglese, e avremmo iniziato la nostra
vacanza-studio nel vero senso della parola.
Lo scopo principale del nostro viaggio a Londra
(cioè quello che ci ha permesso di convincere i nostri genitori a partire!) è
infatti di preparare l’esame di inglese del secondo anno di Università.
Il nostro progetto prevede: frequentare per due
settimane una scuola di inglese per migliorare il nostro vocabolario e la
pronuncia e allo stesso tempo studiare il libro dell’esame per poterci
presentare al meglio.
Mentre il metrò ci porta a destinazione,
fantastichiamo sui prossimi giorni: “Io direi di prenotare due o tre ore di
lezione, tipo dalle 10 alle 13. così possiamo anche fare tardi alla sera. Poi
ci fermiamo a mangiare qualcosa in giro, e dopo andiamo in un parco a prendere
il sole (se c’è) mentre studiamo il libro. Poi nel tardo pomeriggio torniamo al
residence, ci prepariamo e usciamo per la bella vita!” dico a Elena entusiasta.
Lei mi guarda con un sorriso raggiante e gli occhi
pieni di esaltante aspettativa.
“Sì sì, ovvio che prima delle 10 non se ne parla di
andare a scuola! Se no ci tocca pure andare a letto presto anche qui a Londra!”
risponde lei.
Il microfono pronuncia una parola incomprensibile,
ma leggendo il nome della fermata sui muri della stazione, capisco che siamo
arrivati a Whitechapel.
Scendiamo dal metrò alla meglio, e ci dirigiamo
verso le scale mobili che portano all’uscita. Notiamo un po’ allarmate che
tutti si dirigono verso le scale normali, non mobili.
No, non mi dire che non funzionano!
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